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Guido Clericetti

Guido Clericetti

Milano, 1939 

Si laurea in Giurisprudenza e si diploma alla Scuola superiore degli Artefici di Brera. Scrittore e umorista, è stato per anni un affermato autore radiotelevisivo per Rai e Mediaset. Più volte è premiato a Bordighera, Forte dei Marmi, Marostica. È tuttora disegnatore e vignettista, soprattutto di satira sociale e politica, noto per i suoi omini con gli occhi a croce. Ha collaborato con varie testate giornalistiche e pubblicato parecchi libri, molti dei quali per ragazzi e bambini.

Parola di Umorista

Latitudini e lingue diverse, vite personali e vite collettive, l’umorismo come cartina di tornasole del mondo
Un ricordo di Bordighera e del Salone

 Il primo ricordo che ho del Salone Internazionale dell’Umorismo risale alla mia prima partecipazione e in particolare alla mia prima andata a Bordighera. A premiazione avvenuta arrivò la comunicazione che avevo vinto una coppa e che per averla dovevo ritirarla personalmente. Partii in macchina da Milano, ma quando arrivai le festose giornate degli umoristi, alle quali avrei poi preso parte anch’io, erano ormai concluse, mentre l’esposizione delle vignette continuava per i turisti. Venni accolto da Cesare Perfetto, il cui fare burbero mi intimidì molto, e da sua figlia Rosella che mi fece da guida alla mostra e scattò la bella foto di me che alzo la coppa in segno di vittoria. 

 



 

Cosa ti è piaciuto del Salone?

Del Salone mi è sempre piaciuto il clima di allegria e amicizia e soprattutto la grande familiarità che nasceva con gli altri umoristi, anche i più noti e illustri, e sfociava poi nelle lunghe serate ai tavoli di Chez Louis vivacissime di battute, aneddoti, barzellette, buffi racconti personali e tante, tante risate (a volte innaffiate dalla secchiata d’acqua di chi, al piano di sopra, voleva dormire).

È lì che ho incontrato i miei due grandissimi amici Umberto Domina e Gianmaria Starace, che sarebbero stati poi per anni miei geniali compagni di lavoro. 

Erano così diversi che stavano perfettamente bene insieme: Umberto, alto dirigente in una multinazionale e scrittore di affermato, con la sua arguzia ironica made in Sicilia impreziosita da una permanente formazione nordica, ironico osservatore del quotidiano e implacabile collezionista di umorismo involontario; Gianmaria, il più spassoso raccontatore di comici disastri autobiografici che abbia conosciuto, originale vignettista sui più diffusi settimanali umoristici quando ancora c’erano, sempre provocatoriamente critico delle consuetudini ma anche così apertamente disponibile a farsi sorprendere dalle imprevedibilità d’ogni giorno da riconoscere candidamente che, come mi disse una volta scuotendo la testa, “io certe mattine non le capisco!” 



 

Cos'è per te l'umorismo

Per me l’umorismo è l’osservazione affettuosa della realtà per rilevarne con simpatia le tante piccole incongruenze, contraddizioni e illogicità, la divertita confidenza con la gratuita straordinarietà del mondo e della gente, cioè della vita. 

È questa ricchezza che ho avuto in dono e non per merito mio, un piccolo talento che mi stupisce sempre e m’ha fatto incontrare tante care amicizie, anche di sconosciuti, che l’hanno apprezzato e l’apprezzano.



 

La tua vita da umorista se ti volti indietro, che disegno vedi ?

Quando penso al mio personale senso dell’umorismo torno inevitabilmente a una scena e a una vignetta che l’hanno segnato in modo particolare. 

La scena è di me ragazzo, in attesa a una fermata di un filobus a Milano. Mi sto guardando intorno distrattamente quando improvvisamente mi colpisce una coppia di anziani coniugi che avanza sul mio stesso marciapiede e mi viene da sorridere: a lui manca la gamba destra e lei ha una fasciatura su quella stessa gamba. “Come se lui gliel’avesse amorosamente ceduta per un trapianto” penso in un lampo! 

Ma quasi contemporaneamente dentro di me spunta una domanda: “Perché mi viene in mente immediatamente quest’idea grottesca e la trovo spiritosa? Mi fanno un po’ tristezza in realtà, eppure allo stesso tempo mi fanno ridere! Vedo la tenerezza con cui si sorreggono affettuosamente camminando vicini, ma prima ancora ne colgo la comicità! Come mai mi succede questo?”  E subito è venuta la risposta: “Perché ho un particolare senso dell’umorismo e probabilmente sono anche un umorista!” 

L’ho capito allora, proprio in quel momento che non ho mai dimenticato. Anche se devo riconoscere quanto però ero già stato educato all’ironia e alla capacità di cogliere con simpatia gli aspetti più curiosi della vita e delle persone dall’affascinata famigliarità con le famose tavole di Novello, scoperte da bambino nella libreria di casa e quasi imparate a memoria.

L’altro segnale, la vignetta indimenticabile, lo scoprii molto più tardi in una raccolta del Punch, la più famosa rivista di satira inglese: un disegnatore siede alla scrivania e mostra la tavola che ha appena finito alla moglie e lei dice: “Non fa ridere!” 

Fu di nuovo un lampo e un riconoscimento, perché è proprio tutta qui la fragilità dell’umorista professionista che non è mai sicuro se ciò che diverte lui farà ridere o sorridere o colpirà anche gli altri, conosciuti o sconosciuti destinatari del suo lavoro. 

Quel “non fa ridere” per chi fa questo mestiere è una sentenza capitale definitiva, e non è possibile far ricorso.  



 

Umoristi si nasce o si diventa?

Dalla mia ormai lunga esperienza di ottantacinquenne ho imparato che umoristi si diventa prendendo sul serio e coltivando quella scintilla di genialità che il buon Dio ti ha gratuitamente messo dentro e che, se t’impegni, crescerà e migliorerà con te negli anni. 

Come ogni lavoro fare l’umorista richiede anche impegno, studio, applicazione e perfino ogni tanto qualche rinuncia, in cambio del grato stupore che ti sorprende per ciò che sei riuscito a creare di originale ed efficace con le modeste capacità che ti riconosci. 

È comunque un bel mestiere da ridere!



 

Rischio o prudenza cosa ha caratterizzato di più la tua vita professionale?

La maggior parte della mia produzione da vignettista, e in fondo anche quella più rilevante da autore radiotelevisivo che è stato il mio vero lavoro, è ed è stata la satira politica e di costume. Il che vuol dire attaccare o prendere in giro o sottolineare ironicamente l’incoerenza di idee e opinioni che non condivido o addirittura avverso e, ovviamente, anche i più osannati portabandiera di tali posizioni e ideologie.

Se a volte, per convinzione e passione, m’è successo di fare uscite troppo arrischiate me ne sono poi quasi sempre pentito, ma certo non sono mai stato né prudente per calcolo né accanito con le debolezze (“vergin da servo encomio e da codardo oltraggio” dice stupendamente il Manzoni). Ma soprattutto ho sempre cercato di rispettare la persona anche quando ne colpivo il pensiero o le scelte o il comportamento personale diventato pubblico. 

A volte è successo che qualcuno si sia sentito offeso o abbia trovato oltraggiosa una mia battuta o una mia vignetta o addirittura un mio libro, come successe per il mio primo, “…E il settimo giorno sorrise”.

Pubblicato nel 1964, ripercorreva (piuttosto ingenuamente, dico oggi riguardandolo) la storia dell’umanità da Adamo in poi. A dar fastidio furono le vignette “religiose”, e non tanto per il contenuto ma per aver osato rappresentare la Madonna, Gesù e i Santi con le mie faccine a goccia e gli occhi a crocetta, cosa che irritò alcuni, sia agnostici o atei sia credenti. I primi, di solito premettendo la propria laicità, arrivarono per esempio a scrivere sui loro quotidiani: “Non poteva, il Clericetti, fermarsi a certa lieve ironia descrittiva… non poteva fermarsi lì? Essere empi è un male, ma riderne su e insegnarne a ridere ai parvuli, questo è un delitto!” Che esagerati, “per quei quattro scherzucci di dozzina “come direbbe il Giusti! 

Molto più autorevolmente si impermalirono gli altri a Roma, o meglio in Vaticano, tanto che non so da chi, ma certo da qualcuno abbastanza influente, venne l’ordine al giornale d’ispirazione cattolica di allora, “L’Italia”, di far uscire un forte articolo contro il libro (nonostante proprio la settimana prima ne avesse pubblicato uno molto positivo) e alle librerie cattoliche di ritirarlo dalle vendite (che peraltro continuarono, ma sottobanco e solo “per ragioni di studio”). Ciononostante il mio Cardinale di Milano di allora, sua eminenza Giovanni Colombo, quando mi ricevette confessò che lui il libro lo aveva regalato ad alcuni suoi altrettanto eminenti colleghi e poi concluse che “comunque solo chi fa falla”.

Una tua vignetta che vorresti dedicare oggi al Salone, perché

La vignetta che più associo con il Salone è sempre quella per cui mi venne assegnata la Palma d’oro: la morte inginocchiata al confessionale e il prete che le chiede: “Quante volte?” L’avevo inviata a Bordighera, insieme alle altre di cui non ho alcun ricordo, soltanto per far numero, quasi non credendoci. Invece ci credette molto la Giuria.

C’è però anche un’altra opera che ho esposto al Salone, non una vignetta, a cui tengo molto anche se a capirla furono in pochi (ma il mio maestro, il grande Marcello Marchesi, mi disse che secondo lui quello era la cosa migliore di quell’anno). Avevo noleggiato da un vetrinista un manichino d’uomo a grandezza naturale, l’avevo impacchettato in un pesante foglio di plastica trasparente annodandolo con molti giri di una chiassosa corda rossa e accanto c’era il cartello con il titolo: “Christo - Autoritratto”.

Il riferimento (piuttosto colto, lo ammetto) era all’artista bulgaro di fama mondiale noto per i suoi progetti ed esecuzioni di "impaccaggi" di celebri edifici pubblici, ma invece gran parte dei visitatori, e anche di colleghi, si chiesero sconcertati che cosa mai c’entrasse Gesù con quella roba (forse anche per via di una mia consolidata nomea di umorista cattolico).



 

Il manifesto del Salone che ti piace di più, perché?

C’è un manifesto fra i tanti del Salone che amo più di ogni altro, quello disegnato per il 1966 da Marino Guarguaglini, vincitore dell’anno precedente e rinomato illustratore per ragazzi, famosissimo allora per come commentava il calcio con le sue vignette sul “Guerin Sportivo. 

Per me, che non da molto avevo iniziato la mia attività pubblica di umorista, il Salone di Bordighera era sempre stato un mito e quel manifesto era riportato sull’invito che mi ero fatto mandare e dove studiai, con timore e tremore, il regolamento e come partecipare. Andavo ancora all’Università, ma avevo da poco cominciato la collaborazione come vignettista a Epoca, l’allora prestigioso settimanale d’attualità della Mondadori, e da qui m’era venuta l’audacia di concorrere al Salone. 

Non posso non aggiungere che in quegli anni il vignettista storico dell’Europeo, l’allora altrettanto prestigiosa rivista della Rizzoli, era Giorgio Cavallo, indimenticabile umorista pluripubblicato anche internazionalmente e Palma fin dal 1959. Lo conobbi l’anno dopo, quando arrivai a Bordighera per la mia seconda partecipazione e, come facevo con quelli che più ammiravo, gli chiesi un disegno che mi fece con la dedica: “a Guido Clericetti, consapevolmente” a sottolineare la nostra ‘reciprocità’ professionale sulle due riviste. E sapeva anche chi ero, perché la vignetta che mi fece mostrava un sacerdote che spiava nel buco di una serratura e la battuta diceva “Osservatore Romano”. Diventammo buoni amici negli anni, molto più di come possono esserlo un ragazzo e un maestro. Resta per me incancellabile la settimana passata insieme a Praga, invitati da quell’altro genio di Adolf Born.



 

Umorismo oggi: il suo stato di salute . E dietro la curva?

Parlare dell’umorismo di oggi non è facile, e comporterebbe perfino un discorso fin troppo serioso, soprattutto perché ormai si confonde l’umorismo con la comicità che è tutt’altra cosa. Me la caverò quindi con un bel ricordo che è anche una lezione illuminante sul tema. 

Anni fa il mio già citato mentore Marcello Marchesi mi invitò ad andare con lui al cinema a rivedere insieme un film di Woody Allen, “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere”. 

Chi l’ha visto ricorderà che il primo episodio si svolge nel Medioevo e Woody è un giullare che sta tentando di sedurre la regina nella sua camera da letto, ma al dunque si scopre che lei indossa un’ingombrante e complicata cintura di castità. Allora lui si affaccia dalla camera, si fa prestare l’alabarda dai soldati che montano la guardia lì fuori e con quella cerca di forzare la cintura, scatenando naturalmente le grasse risate del pubblico in sala. “Ecco questa è comicità…” mi sussurrò Marchesi. 

Un attimo dopo Woody, sempre impegnato con alabarda e serratura, dice alla regina: “Dobbiamo fare in fretta, altrimenti arriva il Rinascimento e ci mettiamo tutti a dipingere!” e subito in sala si sente un’altra risata ma diversa, meno numerosa e meno sguaiata, e Marchesi aggiunse: “…e questo è umorismo!”.

Già, perché la battuta di Allen per poter funzionare e far ridere richiede di sapere cosa sono il Rinascimento e la grande pittura di quell’epoca e la differenza col Medioevo, di avere insomma una cultura sufficiente a mettere in moto il meccanismo di una risata differente, più intelligente e saporita.  

Da allora mi è ben chiaro che l’umorismo è possibile soltanto se c’è anche cultura, un bene che indubbiamente oggi scarseggia, e non solo in Italia. Non che la comicità non sia altrettanto divertente, anzi, di solito lo è perfino di più, ma non è la stessa cosa, non ti dà lo stesso brivido, la stessa partecipazione.

Questo è qualcosa che i comici in tv, la commedia all’italiana, i cinepanettoni natalizi e perfino molta cosiddetta satira politica su influenti quotidiani e riviste patinate, ahimè, non possono dare: volano anche loro ogni tanto, ma rasoterra.

 

I disegni

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Salone Internazionale dell'Umorismo

La manifestazione non avrebbe potuto durare per oltre cinquant'anni senza il contributo di numerosi "volontari" e "precettati" che hanno portato entusiasmo e voglia di fare qualunque fosse l'incombenza ricevuta, con turni di lavoro ottocenteschi! Dalla scelta dei disegni, alla preparazione dei pannelli (sempre gli stessi ogni anno), all'affissione con spillette varie delle centinaia di disegni fino alla presenza sul palco.

Vogliamo quindi ringraziare, in ordine assolutamente sparso  ma a pari merito di contributo, tutti quelli che ci vengono in mente scusandoci se ne tralasciamo qualcuno, ma siamo  pronti a rimediare!

Gli sponsors: Agnesi, Olio Calvi, Olio Carli, Pallanca, Martini & Rossi, Atkinsons, Seat - Pagine Gialle, Fiat, Citizen, La Stampa, Radio Montecarlo,  ecc.

Le attività ricettive, Chez Louis, Bar GP, La Vecchia,  Mino du Re Dolceacqua, Terme di Pigna, Ristorante Cacciatori Imperia, Hotel Michelin,

I presentatori: Luisella Berrino, Cesare Viazzi, Roberto Basso (Rama di Palma d'Oro 1985)

Gli addetti dell'Azienda Autonoma di Soggiorno e del Comune di Bordighera